Home / Coordinamento / “Fedeli nel poco”

“Fedeli nel poco”

“Fedeli nel poco”

ASSEMBLEA DIOCESANA

 

Per la prima volta dall’inizio della pandemia l’assemblea ordinaria si è svolta in presenza al Centro diocesano “Onisto”.

La prima assemblea diocesana in presenza dopo l’interruzione delle attività associative per la pandemia è ruotata attorno all’intervento di Ernesto Preziosi sul tema della giornata “Fedeli nel poco”. Un tema declinato sotto diversi aspetti, che il relatore ha sviluppato sulle domande che gli sono state poste da Margherita Scarello. Sul sito dell’AC diocesana è postato il video per intero. Qui di seguito si riportano alcuni passaggi significativi tra i tanti.

• Sul tema della fedeltà dell’Azione Cattolica al Vangelo.

L’AC non è un movimento qualunque, noi che vi aderiamo siamo “tout court” parte viva della Chiesa, destinati alla chiamata universale in virtù del battesimo. La fedeltà all’Azione cattolica è fedeltà alla Chiesa; ha senso fare Azione cattolica se è risposta alla chiamata battesimale. Mai spettatori, piuttosto protagonisti, parte viva della Chiesa, perché la nostra fedeltà a Dio è risposta alla sua fedeltà, che sopperisce alla fragilità della nostra risposta umana.

Oggi, la fedeltà è una dimensione spesso non praticata: è difficile essere fedeli “nel poco”, nei rapporti coniugali, nell’amicizia, al patto sociale, agli impegni presi con la comunità… Ma Preziosi, invece, ci ha ricordato che il termine che traduciamo con fedeltà in ebraico significa “roccia” in riferimento a ciò che è stabile, sicuro, certo, duraturo; è ciò che rimane uguale a sé stesso e, perciò, vero. La fedeltà dunque, è segno dell’alleanza tra Dio e l’uomo; è ”roccia” su cui costruire il rapporto stabile, segno di verità e luce.

• Sulla fedeltà alla Chiesa del nostro tempo, nel cammino sinodale.

L’Ac è stata fondata per essere fedele a “questa” Chiesa, concretamente a “questo” parroco, a “questo” vescovo… Anche quando singolarmente ci sembra di non essere d’accordo, non dobbiamo dimenticare che l’Ac è chiamata a tessere legami fraterni, a costruire ponti, a “correggere fraternamente”. La prima cosa da fare è quella della vicinanza al proprio parroco: questo è lo stile che caratterizza l’associazione. Ed è la nostra presenza – allora capillare – e questo modo di essere strutturati che ha permesso al Concilio di essere calato nella parrocchia per l’azione formativa di base.

La sinodalità, che si coniuga con fraternità nella fede, è una grande occasione per far “circolare” il Concilio. Se non siamo Chiesa insieme non andiamo avanti. Il cammino del Concilio ha avuto delle soste e dei rallentamenti; “il disorientamento culturale e sociale presente crea un grande desiderio di guardare al passato – ci ha ricordato il relatore – in cerca di forme rassicuranti, che però non ci sono di aiuto perché le forme rassicuranti servono per consolarci, ma noi siamo persone che non vogliono essere rassicurate, siamo persone che vogliono annunciare e vivere il Vangelo”.

• Sulla declinazione della fedeltà in tempo di pandemia.

Il nostro è un tempo caratterizzato da individualismo, da un consumismo, figlio del benessere. La forza del Vangelo non è più in grado di sconvolgere la vita del cristiano. “Noi siamo colonizzati dal consumismo. Non abbiamo più un nostro pensiero su alcuni temi di fondo (i diritti umani, la sessualità…) non ce ne siamo resi conto. La pandemia ci ha messo di fronte ad una situazione terribile, che è la morte, ineluttabile”.

Nel periodo più acuto della pandemia in molti sono venuti a contatto con la morte di parenti ed amici, hanno fatto esperienza di sofferenza e di dolore. L’impatto con la morte dovrebbe indurre a riflettere sul bene della vita. Domandiamoci con pudore se è davvero così. Questa pandemia dovrebbe portarci a prendere in mano il tema della vita.

Quanto stiamo educando all’affettività, alla relazione interpersonale, quanto alleniamo la nostra volontà per scelte autentiche, improntate al servizio, al bene comune, alla solidarietà, al rispetto, in parrocchia e nei nostri gruppi? Quanto invece stiamo andando allo sbaraglio, piegati a logiche pagane? Come si può essere liberi per servire quando si vive una vita dissoluta?

Occorre trovare il coraggio per una nuova proposta educativa, che sia incentrata sull’educazione della volontà per imparare ad improntare le nostre azioni alla dimensione della fedeltà ad un progetto; per dare senso profondo alle relazioni umane e affettive e spendere bene la nostra vita.

• Sull’espressione “liberi e forti” in politica. [L’Appello ai liberi e forti è stato il manifesto del Partito Popolare al momento della sua fondazione, il 18 gennaio 1919. N.d.R.].

Oggi l’espressione è strumentalizzata da “una banda di opportunisti che saltano da una parte all’altra per essere eletti fregiandosi dell’etichetta del cattolico”. L’espressione richiama invece ad uno stile di vita esigente, improntato alla coerenza.

• Sull’incarnazione del- la popolarità dell’AC.

La popolarità è cosa ben diversa dal proselitismo (abbiamo ben presente la raccomandazione di papa Francesco); l’alternativa consiste nel mettere insieme le persone per forza di attrazione, perché si è leali ed affidabili. È il comportamento che segnala che siamo cristiani. La popolarità non si ottiene con i numeri ma con la buona qualità della proposta. La popolarità per l’AC si traduce con la missionarietà e, dunque, con la capacità di saper fare una “proposta” qualificata. Noi siamo Ac, con una storia e con una identità: gli altri servizi sono facoltativi, il nostro è obbligatorio. (A.A. n. 20).

La popolarità in AC implica l’ascolto della gente (delle difficoltà esistenziali per portare la Chiesa alla gente) e la capacità di usare il linguaggio di tutti. Se viviamo la fede da credenti laici, nel parlare non lo facciamo come un libro stampato, parliamo con la nostra vita; le verità teologiche diventano realtà esistenziali. E’ il tema del camminare insieme e l’associazionismo è scelta di mettersi insieme.

Gino Lunardi

Scroll To Top