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«Cominciai con un campo nazionale all’Aquila»

«Cominciai con un campo nazionale all’Aquila»

Don Giancarlo Pianezzola, parroco di Anconetta, racconta il suo impegno associativo da assistente dal 1989 al 1997

 

Si conclude con questo numero del giornale il percorso di “celebrazione” per i 50 anni dell’ACR in Diocesi. Attraverso i ricordi e le testimonianze di tanti amici, che si sono prodigati nel servizio ai più piccoli dell’Associazione, abbiamo percorso un trentennio. Con le “voci” di quanti intervengono in queste pagine arriviamo agli anni duemila. Il resto è storia recente …

Oltre a Davide Lago e a Serenella Manfrin, due altri testimoni ci parlano del loro impegno associativo: don Giancarlo Pianezzola, oggi parroco ad Anconetta, che è subentrato a don Antonio Doppio e Dino Caliaro, che ha affrontato con generosità anche l’oneroso incarico di segretario dell’ACR nazionale. Con don Giancarlo l’ACR in diocesi ha messo leali…

Don Giancarlo, sei stato assistente diocesano dell’ACR dall’89 al ‘97, subito dopo don Antonio Doppio. Com’è avvenuto il tuo incontro con l’ACR?

«Parto da lontano. Nella mia famiglia tutti aderivano all’Azione Cattolica. Ho ancora la tessera delle Fiamme bianche del lontano 1964 quando abitavo a Nove e avevo cinque anni. È una passione che ho nel DNA.

Nel 1984 nella mia prima esperienza di prete al Cuore Immacolato di Maria a Vicenza ho avuto il dono di poter seguire l’ACR come itinerario differenziato di Iniziazione Cristiana. Penso sia stata tra le prime esperienze in Diocesi. La parrocchia era molto popolosa e c’era la possi- bilità di scegliere, nelle medie, tra catechismo “tradizionale”, ACR e Agesci. Eravamo una comunità di cinque preti e potevamo dividerci gli incarichi. È stata l’occasione per conoscere e apprezzare ancora di più la ricchezza dell’ACR».

Hai iniziato il tuo primo triennio da assistente con Marco e Anisa, tutti e tre “nuovi” … com’è stato quell’inizio?

«Io e Anisa abbiamo iniziato con un camposcuola nazionale all’Aquila con Beatrice Draghetti, don Simone Giusti e, a settembre, con Marco Giuliari. C’è stata una sintonia molto bella che è risultata determinante per rilanciare l’ACR.

Abbiamo capito subito che dovevamo partire da una migliore organizzazione strutturale delle commissioni diocesane sia per motivi logistici e pratici (divisione dei compiti e delle responsabilità, coinvolgimento di nuove figure…) che per motivi pastorali (collegamento col territorio e i responsabili vicariali e parrocchiali). La passione e il grande senso di responsabilità che ho trovato in loro, come anche nei loro successori (Roberto e Roberta, Serenella e Davide) è sempre stato esemplare anche per me prete».

Nell’arco di pochi mesi ti muovevi in AC come se la praticassi da sempre. Racconta …

«In effetti, l’ho praticata da sempre come ti dicevo all’inizio.

A dire il vero ho fatto anche il Capo Scout in Patronato (Vicenza 5°) come esperienza pastorale. Un’esperienza bella e arricchente, ma come prete ho sempre proposto l’AC che, per me, è sempre stata una grande famiglia. E poi ho trovato compagni di strada veramente splendidi».

A un certo punto hai anche iniziato una collaborazione con il Centro Nazionale …

«Un aspetto che ho scoperto con questo incarico diocesano è stato proprio l’apertura a livello nazionale. Un’esperienza che mi ha subito entusiasmato: conoscere gente di tutta Italia, esperienze le più diverse, vedere anche posti nuovi in cui sono stato chiamato come relatore (Roma, Sardegna, Sicilia…), la diversità e la ricchezza educativa e associativa dell’Italia… È stata un’esperienza bellissima! Per questo ho coinvolto spesso e volentieri le commissioni diocesane nei convegni e nei campi nazionali, dove mettevamo in vendita le invidiatissime magliette dell’ACR e i vari gadget sempre molto apprezzati.

Ad un certo punto mi hanno chiamato anche a far parte della Commissione Catechesi Nazionale che mi ha aiutato a diventare un po’ più esperto nella proposta degli itinerari (le “famose” Guide ACR)».

Nel periodo in cui sei stato assistente, l’ACR a livello diocesano ha avuto un considerevole aumento di consenso e, dunque, sono aumentate le adesioni dei ragazzi …

«Credo che abbiamo avuto la possibilità di raccogliere il lavoro dei nostri predecessori e di rilanciarlo. Abbiamo dovuto farlo anche in tempi brevi. Le giornate di studio si facevano al S. Cuore ed erano sui 150-200 educatori e poi in Seminario. Infatti, siamo passati in un anno a una media di 700-800 fino ad arrivare sopra i 1000 educatori col card. Tonini. Al Congressino Diocesano (così si chiamava l’Acierrissimo) si puntava ad arrivare ai 10.000 ragazzi vedendo la partecipazione in piazza dei Signori (sugli 8.000). Erano altri tempi!

Credo comunque che il nostro contributo particolare sia stato nel rapporto personale con i responsabili parrocchiali e vicariali che abbiamo maggiormente coinvolto e con le commissioni diocesane (incontri, uscite, gite, cene, un collegamento cartaceo: “Il Chi…odo). C’erano incontri anche per gli assistenti e addirittura per le religiose. Potevo permettermelo perché, grazie al Vescovo, avevo poche ore di scuola».

Quali erano i “problemi” o, semplicemente, i temi che più toccavano l’ACR di quegli anni?

«Prima di tutto la proposta dell’ACR come Itinerario differenziato di Iniziazione Cristiana. Se ne parlava da molto tempo, ma abbiamo cercato sempre più di approfondire e sostenere le parrocchie che concretamente avevano accolto questa proposta. In questa prospettiva risaltava ancor più l’aspetto da sempre presente in AC: la formazione degli educatori (nel proprio settore e nel rilancio del Gruppo educatori) e la cura dei responsabili. Anche la conoscenza del Progetto Acr (nato nel 1981 se non sbaglio) era una risorsa da conoscere e da sfruttare. Il Progetto è stato un punto di riferimento stabile per le diverse scelte (catechesi esperienziale, protagonismo dei ragazzi…)».

Che cosa ti porti nel cuore di quel periodo?

«Soprattutto i volti. Ogni tanto riaffiorano i volti delle migliaia di persone che ho incontrato, le situazioni più diverse, i momenti di un’intensità unica come nei campi scuola, le relazioni che ancora adesso continuano. Ho potuto riassaporare tutto questo nell’anno in cui sono stato nominato Assistente Unitario e degli Adulti, ma per motivi familiari non ho potuto continuare.

Più passano gli anni e più mi accorgo che è stato un tempo di grazia. Per questo ringrazio Dio e tutte le persone che ho incontrato».

Secondo te, quali sono le sfide di oggi per l’ACR?

«Sono le sfide della Chiesa. È la sfida di ripartire da Dio e dall’incontro con Gesù Cristo, è il coinvolgimento degli adulti e dei genitori indispensabili per il protagonismo dei ragazzi, è la formazione degli educatori e dei responsabili, è l’esperienza di gruppo…

Le sfide particolari sono: il coinvolgimento della famiglia e degli adulti e le “nuove” famiglie” (con famiglie divise e i figli con le valigie nei fine settimana, con due o tre papà…; comunicare la fede con ragazzi mass-mediali; la multiculturalità (alcune classi sono composte più da ragazzi non originari dall’Italia); la partecipazione all’Eucaristia domenicale Papa Francesco ha detto di fronte al cambiamento d’epoca: “L’atteggiamento sano è quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierlo con la virtù del discernimento”.

In tutto questo credo che l’AC sia un ministero indispensabile anche nel nuovo volto di Chiesa che si sta delineando».

Gino Lunardi

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