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«Mio padre voleva morire a casa come suo padre, come sua madre»

«Mio padre voleva morire a casa come suo padre, come sua madre»

Davide Lago racconta il dramma della sepoltura del padre durante il lockdown.

Durante la pandemia ho dato sepoltura a mio padre. Malato da tempo, Angelo era nato nel 1929. Era il socio Ac più anziano della parrocchia.

Quando la pandemia si è scatenata, mio padre era ancora abbastanza autonomo ed era il perno della casa. Il clamore mediatico dello scorso fine febbraio lo preoccupava non poco. Come per tutti, il coronavirus era fonte di ansia. Ma la frustrazione maggiore era il diradarsi delle visite, fino alla loro cessazione. La sua casa è la dimora storica della famiglia, la casa colonica in cui sono nati e cresciuti fratelli e cugini. E fratelli, cugini e nipoti capitavano spesso in visita, senza bisogno di avvisare. E così gli amici, il fornaio ogni mattina, i vicini di casa. Facilitati dal fatto che da oltre trent’anni era stato tolto il cancello che dà sulla strada, tanto restava sempre aperto.

È iniziato così, per mio padre, un periodo di rallentamento e concentrazione, che ha portato a un’inattesa intimità a livello familiare. Giunta già da qualche mese allo stadio terminale, la sua malattia è diventata in questo frangente l’occasione per il bilancio e il congedo. In un tempo sospeso, senza fretta e senza rumori. Fatte le debite proporzioni, un tempo simile a quello della sua infanzia contadina, con i ritrovati versi degli animali, con i rumori delle case dei vicini, con le tortore e le gazze che riuscivano a passeggiare indisturbate sull’asfalto della provinciale deserta davanti a casa. In questo silenzio ritrovato, l’ascolto si è condensato sui segnali inequivocabili del corpo e su quelli delle relazioni più intime.

 Mio padre voleva morire a casa, come suo padre, come sua madre. Anche a noi è sembrato normale. Preso in carico dall’unità di cure palliative dell’Ulss, nella sua ultima tappa è toccato a me seguirlo passo, passo. Non è facile lasciare andare un genitore. Non dev’essere stato facile per mio fratello e mia sorella, impossibilitati a spostarsi a causa del blocco, e non è stato facile per me. Fin quasi alla fine ho coltivato la segreta speranza che accudendolo alla perfezione avrebbe superato anche questa.

Le nostre ultime dieci giornate sono state intense e vissute al singolo secondo. Libera dalle incombenze esterne, mia madre ha potuto dedicare ogni momento all’uomo con cui ha vissuto cinquantasette anni. E mia zia ha cominciato a capire che suo fratello non sarebbe stato per sempre a casa con noi. Nella serrata generale, al rito del rosario delle 18 si è aggiunta la messa delle 19 su Tv2000. Sono stati appuntamenti importanti, che hanno ricreato in casa i ritmi della vita comunitaria in paese.

Mio padre è morto all’alba del martedì santo. Accanto a lui, mia madre gli teneva la mano. Solo due giorni prima, grazie a Radio Oreb avevano ascoltato insieme la messa delle Palme celebrata dal vescovo Beniamino a Monte Berico. Gli avevo anche portato un rametto d’ulivo che il parroco aveva voluto lasciare comunque in ogni chiesa dell’unità pastorale. Assieme ad altri amici, si era spesso occupato mio padre dell’ulivo per la parrocchia.

Non potendo celebrare il funerale in chiesa, i vicini sono venuti in cortile per un ultimo saluto. Quando poi il carro funebre è partito da casa, le campane hanno suonato a distesa. Parenti e amici che abitano lungo il tragitto fino al cimitero sono andati sull’uscio per salutarne il passaggio. Chi abita in altre contrade si è unito in preghiera. Non si sarà potuta rispettare la forma consueta del commiato, ma lo spirito parrocchiale è emerso in tutta la sua potenza. Potenza di legami affinati nel tempo. Frutto dell’opera di quanti hanno scelto e scelgono di costruire comunità. 

Davide Lago

Parrocchia di Bevadoro (Up. Camisano-Campodoro)

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