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Lettera aperta d’inizio anno

C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere ed è sempre il tempo di ascoltare e agire con giustizia.

Tante persone amiche mi ripetono che è urgente dire parole chiare su una realtà che crea disagio a molti: assistiamo ad un’onda montante di disumanità, fatta di parole inaudite, pronunciate anche da chi è responsabile della convivenza civile, e di azioni ostili verso chi è  straniero e tuttavia,  di fronte  a  questo imbarbarimento del tessuto sociale, sembrano restare  inerti e indifferenti, quando non addirittura consenzienti, anche alcuni fratelli che pure frequentano la chiesa.  E’ come se ci fosse proprio da parte di alcuni battezzati una presa di distanza, nel linguaggio e nelle scelte, dal Vangelo e dal Papa che quotidianamente ce lo annuncia con parole e gesti. E’ qualcosa di inedito che genera imbarazzo e  scandalo.

Come reagire? Quando e come parlare? Ecco alcune considerazioni condivise con la Presidenza diocesana.

Quando la dignità della persona è calpestata, quando la realtà dei fatti viene stravolta o falsificata, quando i simboli religiosi vengono strumentalizzati, quando si confonde disinvoltamente “sacro” e profano e Dio viene nominato invano, non si può tacere.

Ma ci sono anche  condizioni e  uno stile per parlare. Occorre pronunciare con coraggio una parola se essa aggiunge qualcosa di significativo, di essenziale, se aiuta a fare discernimento, a giudicare la storia, la realtà, non le persone, se aiuta il seme buono a crescere in modo da resistere a chi semina zizzania. E serve che la vita sia il paragone delle parole. E’ questa  la condizione per esercitare alcune opere di misericordia un po’ dimenticate come consigliare i dubbiosi e insegnare agli ignoranti. Si tratta di parlare non per occupare spazi mediatici ma per aprire processi virtuosi.

Alle parole devono seguire proposte operative.

Una coincide con l’elemento costitutivo dell’Azione cattolica:   la formazione dei giovani e degli adulti:  un cammino in cui sostare nelle domande della vita, nutrirsi alla Parola e dare spazio al confronto. L’itinerario di quest’anno dell’Azione cattolica sembra pensato apposta: abitare il tempo, accompagnati dall’icona di Matteo 25, “L’avete fatto a me”. Non ci sono più alibi.  Laici e presbiteri non possono che scegliere e incoraggiare questa strada che rende più consapevole e fraterno anche il servizio. Ma soprattutto l’incontro non occasionale in cui mettere in relazione vita e Parola e leggere la Parola nella vita ci apre gli occhi sulla realtà, ci aiuta a comprendere il nostro tempo e ad andare oltre, passando dalla comprensione  alla coscienza. C’è coscienza quando si assume il punto di vista degli ultimi, che poi è anche l’unico modo per passare per la porta stretta, per adorare Dio amando il prossimo. Solo così si può cogliere il senso del nostro passare in questa terra da ospiti rispettosi del creato. E’ un allenamento ad essere cristiani competenti in grado anche di entrare nell’agone politico con serietà, rischiando di persona senza pretendere coperture ecclesiali.

Un’altra è data dall’anticorpo sano dell’associazionismo, dove al posto della  rissa si propone l’ esercizio del dialogo intergenerazionale che consente di mettere insieme i sogni degli anziani e i desideri dei giovani.

Ne potrà scaturire anche qualche impegno concreto e un cambiamento di stile di vita:

prendere sul serio l’invito della diocesi ad attivare  accoglienze a livello parrocchiale e vicariale, destinare una parte del proprio bilancio familiare a progetti di inclusione, condividere e diffondere buone prassi, già in atto in alcune comunità pastorali, di preparazione attiva ad opera dei laici dell’eucarestia domenicale in modo che vi si senta pulsare la vita del territorio e del mondo, mettere in pratica alcuni dei suggerimenti concreti proposti dalla Laudati si’.

Caterina Pozzato

 

 

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