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Una storia “più lunga e più larga”

Una storia “più lunga e più larga”

 

La parola “unitarietà” è una scelta precisa di camminare insieme tra generazioni diverse nella nostra associazione.

 

Per la mia esperienza e per quel che posso raccontarvi io, la “fede tra” è un gran bel mistero. Provo a disegnarne la forma usando alcune micronarrazioni, piccole storie come puntini da unire, e il disegno che ne esce è una storia, ed è la mia. […]

La “fede tra” l’ho respirata nella mia famiglia di origine, ed è la sfida nuova e bella che ora vivo con mia moglie Joya e in tutti gli ambiti di vita. Nello specifico dell’Azione Cattolica, la “fede tra” si incarna in queste esperienze che voglio raccontarvi.

Quando l’anno scorso abbiamo festeggiato i 150 anni della nostra associazione è stato evidente che la “fede tra” è una storia di fede più lunga e più larga della mia, con le storie di santità di tanti testimoni, alcune scelte decisive, una grande ricchezza ricevuta e per cui mi sento grato e responsabile. Tradizione, che è sempre anche traduzione, che è sempre e per forza di cose anche un tradimento in un certo modo, un cambiamento.

Ripenso poi all’importanza di Marco e Gina, Umberto, Valeria e Marco, e vedo che la “fede tra” in Ac è anche fede tra le generazioni, per noi la parola è unitarietà: scelta precisa e costitutiva di camminare insieme, bambini, ragazzi, giovani, adulti, adultissimi, con le fatiche e incomprensioni del caso ma anche con la grandissima ricchezza che ne deriva. In un arco che va dai racconti d’altri tempi di mia nonna, che a un certo punto dall’AC era pure uscita perché il parroco le aveva proibito di farsi crescere troppo i capelli, fino alla mia amica Lucia, che a novembre mentre il palazzetto di Bassano si riempiva per la festa giovanissimi ci manda la foto della prima adesione all’AC di sua figlia Maria, nove mesi.

Per raccontare la “fede tra” dell’amicizia dovrei raccontarvi di Margherita. La fede che concretamente è tra nella misura in cui è parola scambiata, vita scambiata, passi intrecciati che mostrano come Dio sappia intessere trame con le nostre relazioni. Anche “soltanto” camminando sui colli e parlando di tutto, sperimentando una compagnia della fede tipicamente associativa. Aiutandosi a non rinchiuderci tra noi, come i discepoli di Emmaus, con Gesù che arriva e chiede “cosa sono questi discorsi che fate tra voi?”. Lasciando che il tra si allarghi grazie alla presenza di Gesù che cammina con noi.

La “fede tra” in AC l’ho vissuta nella scelta educativa, vivendo la dimensione del gruppo tra pari e poi da educatore, in alcuni momenti di grazia come la chiacchierata con Chiara nel deserto del campo educatori del 2012. Un circuito perenne in cui la bellezza del tra è che chi passa riceve anche, e spesso molto più di quanto trasmetta! Non tramandare, ma trasmettere: esserci, lasciando spazio. Siamo tutti credo in questa oscillazione e scambio continuo. In AC e nella chiesa ho incontrato, come tante benedizioni, persone che hanno saputo trasmettermi la loro fede, l’hanno fatta trasparire contagiandomi. Ammetto però che troppe volte mi sembra che rischiamo di farci prendere da “un’ansia da prestazione testimoniale”. E soprattutto nel servizio educativo e formativo a chi è più giovane di me continua ad essere centrale e aperta la domanda: come mi metto in gioco per trasmettere la mia fede?

Certo vivo anch’io l’esperienza di una fede tra che paradossalmente diviene problematica proprio quando intercetta fasi di passaggio, della vita e dell’impegno associativo di un aderente AC. È un po’ una caratteristica dell’AC essere forse più fluida e in qualche modo debole rispetto a passaggi espliciti, anche rituali e simbolici, tra le varie fasi di vita e servizio. Penso all’esperienza che tanti gruppi giovanissimi fanno della professione pubblica di fede, posta al termine degli anni di gruppo: un passaggio forte ma che è comunque per la comunità e davanti alla comunità parrocchiale, non intra-associativo.

La “fede tra” è anche ex-tra, fuori: provare ad essere sempre tra la gente e tra le case, in una parola: popolarità. Per dare alla sequela la forma della vita, non la forma della parrocchia. La fede tra che l’AC mi insegna è quella del mentre, dell’ordinario, durante la vita e non in uno spazio a parte; una fede laicale, praticabile tra le cose incasinate di ogni giorno, abitate da Dio, in questo luogo e in questo tempo. Una “fede tra” in cui la vita spirituale è come la chiave di volta dell’arco, quella pietra che regge e consente alle varie spinte delle nostre vite frenetiche di diventare la forza che tiene in piedi l’arco. Evitando magari di pensare se stessi (singoli o associazione) come chiave di volta, che si ci togliamo noi cade tutto.

Anche rispetto al mio impegno in AC sono nel tra, in una fase e un’età di passaggio. Con il desiderio del nuovo e la fatica (che spero generativa, come un travaglio) di lasciare alcune cose. Unisco i puntini, ma il disegno è ancora quello di un mistero, o forse di un miracolo, un po’ misterioso. Io sento palpitare la “fede tra”, eppure continuo a non comprendere fino in fondo cosa succeda in quell’interazione decisiva: cosa c’è lì in mezzo? Forse davvero “in mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è giorno dopo giorno, e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire”. Il passaggio anche della fede avviene lì, o almeno questo sono arrivato a capire, finora, grazie alle persone che me l’hanno fatto sperimentare.

Un’ultima storia – un ultimo puntino da unire – è quella di una figura che mi guida rispetto a questa fase e a questo movimento del tra. È la storia di san Cristoforo, che trasporta e traghetta. La leggenda narra di quest’uomo, grande e pieno di forza, che dopo una gloriosa carriera militare decide di cambiare vita per cercare una grande causa che valga davvero la pena di servire. Così si ritira in riva a un fiume pericoloso per traghettare – grazie alla sua forza fisica eccezionale – i viandanti che da soli non ce la farebbero. Un servizio umile e modesto, giorno dopo giorno, silenziosamente, tra le rive e tra i flutti. Un giorno Cristoforo deve prendere in spalla un bambino per farlo attraversare, un bambino piccolo, di certo non serviva un gigante come lui. Eppure appena inizia la traversata Cristoforo capisce che quello è il compito più gravoso della sua vita, il bambino ha tutto il peso del mondo, perché non è solo un bambino, ma quel Signore che valeva davvero la pena servire. Ed è con lui che Cristoforo compie il tra decisivo e approda all’altra riva.

Mi guida la figura di Cristoforo e il movimento della sua storia, nella traversata che è la fede e la fede scambiata in associazione. La cosa buffa è che oltre a essere basso io non so nemmeno nuotare. Mi consola sapere che quel bambino pesa ma è anche, letteralmente, un salvagente. Ed è in noi, con noi, tra noi.

Enrico Zarpellon

Al link è possibile leggere il numero completo di Coordinamento del mese di giugno:

COORDINAMENTO giugno 2019

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