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Responsabili di cosa?

Responsabili di cosa?

 

Alla vigilia di un anno associativo importante in cui siamo chiamati a rinnovare tutte le cariche, ognuno è invitato a ripensare alla propria vita, ai propri impegni, e vedere se c’è lo spazio per un incarico che sulla carta fa sempre paura e per il quale ci si sente inadeguati.

 

Si parla molto in Azione Cattolica di responsabilità. Il termine nella sua origine ci rimanda all’esperienza del rispondere di qualcosa a qualcuno. Si risponde delle proprie azioni rispetto ad un ruolo, rispetto alle aspettative degli altri, rispetto alle leggi, al proprio credo e alla propria coscienza. Il Progetto Formativo dell’AC nel quarto capitolo, Del mondo ma non del mondo, dedica un lungo paragrafo alla responsabilità che ogni laico deve coltivare a partire dal dono della vita ricevuto da Dio. In particolare si esplicita una responsabilità verso se stessi sapendo coltivare le virtù umane: “Siamo responsabili della qualità della nostra umanità. Dal punto di vista formativo, ciò significa alimentare la consapevolezza di questo dono e al tempo stesso coltivare quelle virtù umane che ci permettono di liberare nel modo più pieno possibile il disegno di Dio nella nostra vita e nella storia”; verso il creato, verso la città degli uomini con un impegno nel cotesto sociale e politico che non può essere semplicemente disatteso.

Sempre il Progetto Formativo ma nel settimo capitolo parlando dell’organizzazione associativa introduce in modo esplicito la figura del “responsabile” che viene definito come un “compito molto importante in ordine al complesso delle proposte e delle attività formative dell’associazione”. Deve essere uno che si prende cura di tutta la vita associativa non come un burocrate ma a partire dalla passione educativa che lo fa essere punto di riferimento per tutti gli aderenti. I termini sono molto belli perché rimandano non tanto ad una funzionalità esterna ma alle radici profonde dell’impegno richiesto.

Alla vigilia di un anno associativo importante in cui siamo chiamati a rinnovare tutte le cariche, la parola è quanto mai importante per ciascuno che si sente invitato a dare o meno la sua disponibilità per un impegno come Responsabile in AC. Ognuno è invitato a ripensare alla propria vita, ai propri impegni, a vedere se c’è lo spazio per un incarico che sulla carta fa sempre paura e per il quale ci si sente inadeguati.

Più volte anche in Consiglio Diocesano il tema è stato affrontato e qualcuno ha parlato di “responsabilità sostenibile” nel senso che dovremo tener presente che la vita delle persone, nella complessità di ogni giorno, chiede oltre che gli impegni associativi, la responsabilità nei confronti della propria famiglia e un impegno anche nella realtà sociale intesa in senso più ampio. Sappiamo che l’equilibrio è sempre difficile e che le forze disponibili spesso sono poche. Serve una maggior disponibilità e generosità?

Non so se questi siano i termini giusti perché vedo in essi il rischio di far nascere nelle persone inutili sensi di colpa. Nella mia breve esperienza associativa di assistente posso dire che ogni giorno sono edificato dalla testimonianza di laici che dedicano molto tempo, passione, denaro ed energia per l’Azione Cattolica e per la chiesa: questo mi aiuta a vivere il mio ministero e il mio servizio fra di voi.

C’è però un passaggio di Evangelii Gaudium che da un po’ di tempo mi fa pensare. «Quando abbiamo più bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo, molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero. […] Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale. Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante. Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata». (cfr. EG 81-82).

Certamente il primo a lasciarsi interrogare dalle parole del Papa sono io: come vivo il mio impegno di assistente, di prete, di credente che ogni giorno deve fare i conti con molte richieste? Ma sento anche il dovere di rivolgere le stesse domande ad ogni aderente (e simpatizzante). Come vivi il tuo essere battezzato? Cosa ti appassiona veramente? Il tuo compito di responsabile è solo un altro impegno estorto da una richiesta troppo pressante, o una risposta responsabile al Signore che ha conquistato la mia vita? Se non avessi questo impegno come sarebbe la tua vita? Cosa sogni nella tua vita? Che traccia vuoi lasciare nelle persone che incontri? E le domande potrebbero continuare… Mi torna alla mente il brano del Vangelo in cui il padrone della vigna dà agli operai dell’ultima ora quanto ai primi i quali nel ritirare il loro salario si lamentano (Matteo 20,1-6). Lavorare nella vigna del Signore è solo un peso o una gioia?

Ritraducendolo potremo dire: abbiamo davvero scoperto la gioia di una associazione che ogni giorno si impegna con altri cristiani per annunciare la bellezza di una vita evangelica? Forse il problema non è non quello di una maggior disponibilità ma di una maggior fede… Questa è la nostra prima responsabilità che come cristiani ci viene chiesta.

Don Andrea Peruffo

 

Al link è possibile leggere il numero completo di Coordinamento del mese di giugno:

COORDINAMENTO giugno 2019

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