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Preti e laici: condivisioni di vite

Preti e laici: condivisioni di vite

Tre laici e tre preti si raccontano le reciproche aspettative e desideri, in un buon esercizio che potrebbe essere replicato in altre occasioni

Tre domande quasi a bruciapelo, per far emergere vissuti, pensieri, aspettative, per condividere sogni e mettere in moto riflessioni in un cammino di ricerca che più è fatto insieme più diventa ricco e sorprendente

 

Abbiamo rivolto alcune domande “incrociate” a tre preti e tre laici, chiedendo loro di mettersi in gioco. Ecco che cosa è emerso.

SILVIA MARIN (giovane, studentessa universitaria, 23 anni di Vicenza)

Pensando al prete del nostro tempo, come lo definiresti?

«Non sopporto le definizioni che, a partire da una categoria, cercano di descrivere in un unico modo la realtà. Direi: ogni prete è diverso, perché ogni uomo è diverso. Con un piccolo sforzo di sintesi, li definirei coraggiosi nella fragilità: di un coraggio che appartiene a ogni vocazione umana, e di una fragilità che vivono nella solitudine, come categoria e nella realtà in cui sono immersi».

A partire dalla tua esperienza di giovane, che cosa senti di chiedere ai preti delle nostre parrocchie?

«Che siano pieni di Gesù Cristo. Vale a dire: che si mettano in ascolto sincero della vita, tutta; che siano onesti con sé stessi e con gli altri, senza paura; che si sporchino le mani; che portino, dentro di sé, un pezzetto di cielo. Alla fine queste cose, le chiedo anche a me stessa, come cristiana».

Come può un prete aiutarti a essere una buona laica?

«Mi domando che cosa vuol dire essere una buona laica, ma provo a rispondere ugualmente: ricordandosi di essere un uomo, prima di essere prete; camminando accanto a me dietro a Gesù, accompagnandomi e sostenendomi; suscitando domande e accogliendo le mie, col desiderio di cercare insieme le risposte».

 

NICOLA BONVICINI (Vicepresidente diocesano Adulti Ac, padre di famiglia, 52 anni di Arcole)

Pensando al prete del nostro tempo, come lo definiresti?

«Paolo VI raccontava al suo amico laico Jean Guitton che in gioventù aveva a lungo meditato se fare il medico, l’insegnante, l’artista. Poi aveva trovato la soluzione che teneva insieme tutte queste aspirazioni: farsi prete.
Credo che il sacerdote del nostro tempo dovrebbe essere un moltiplicatore di carismi. Un uomo abitato dall’universalità, curioso e amante della vita, in grado di far fiorire i percorsi delle persone che incontra verso un’umanità piena, perché è lì che Dio abita».

A partire dalla tua esperienza di vicepresidente diocesano Ac, che cosa senti di chiedere ai preti   delle  nostre parrocchie?

Chiederei di essere magnanimi verso l’associazione. Avere un animo grande e accogliente nei confronti di ogni associato. Nutrire fiducia, offrire consiglio, sostegno e sprone ai responsabili e agli educatori. Aiutarli a pregare “bene” in ogni incontro, evento, riunione. Una preghiera fatta non solo di parole, che sia anche gesto e sguardo che eleva. Regalare o suggerire letture o visioni più “eristiche” che cristiane, per indagare gli abissi della vita e dello spirito che la pervade. Due esempi: un libro come La strada di C. McCarthy, un film come Interstellar di C. Nolan».

Come può un prete aiutarti a essere un buon laico?

«Facendo dei pezzi di strada accanto a me. Facendomi scoprire che il Vangelo si nasconde nelle pieghe della quotidianità. Se prego bene    faccio meglio   il mio lavoro. Se    qualcuno    ha spezzato I    la Parola e il Pane del cielo per me saprò trovare un senso di fronte al dolore innocente. Riuscirò a trovare le parole giuste per ricucire un litigio, potrò accettare le mie insufficienze, potrò donare parte del mio tempo a chi ne ha bisogno».

 

ELENA PERIN (madre di famiglia, 33 anni Piazzola sul Brenta)

Pensando al prete del nostro tempo, come lo definiresti?

«In generale lo definirei un “imprenditore della fede” che deve sapere non solo di teologia e spiritualità, ma anche di psicologia, economia, arte, marketing per poter attrarre i fedeli e guidare una comunità. Spesso però lo vedo come un  “uomo solitario” che vive da solo, non ha esperienza di famiglia (se non quella di origine) e per questo fatica a comprendere le famiglie della comunità. Per me il prete è un “amico”, un compagno di viaggio che mi aiuta a scoprire la presenza di Dio nella mia vita».

A partire dalla tua esperienza di mamma, che cosa senti di chiedere ai preti delle nostre parrocchie?

«Mi sento di chiedere ai preti il coraggio di cambiare lasciando abitudini che non parlano alla vita delle persone; il coraggio di osare, di appoggiare scelte che aiutino la crescita umana e spirituale dei fedeli; il coraggio di fare rete tra i confratelli e condividere le proposte di altre parrocchie».

Come può un prete aiutarti a essere una buona laica?

«Vivendo pienamente una corresponsabilità tra laici e preti fatta di: ascolto delle intuizioni e dei bisogni; libertà di azione; promozione della formazione spirituale di noi laici».

 

DON FABIO BALZARIN (42 anni, parroco di Marano Vicentino)

Pensando al “laico” del nostro tempo, come lo definiresti?

«Essendo impossibile dare una definizione unica, direi che siamo nella fase dell’adolescenza: da una parte i laici hanno la consapevolezza e le conoscenze per poter fare la loro parte, ma devono ancora trovare il proprio posto; dall’altra si chiede loro di comportarsi da adulti ma spesso li si tratta ancora come bambini».

A partire dalla tua esperienza di parroco, che cosa chiedi ai “laici” della tua comunità parrocchiale?

«Di sentire che la comunità è una “cosa loro”: il parroco passa, la comunità resta. Non si tratta tanto di un “fare”, quanto di sentirsi responsabili in prima persona, accogliendo le diversità e mettendole insieme».

Come un laico può aiutarti a essere un buon prete?

«Restando laico e, con questo, ricordandomi che ho fatto una scelta. Cioè… restandomi accanto con la propria esperienza di vita, donando e accogliendo provocazioni e consigli, se possibile coltivando una relazione non esclusivamente di tipo “professionale”».

 

DON LORENZO DALL’OLMO (39 anni, assistente diocesano Ac)

Pensando al “laico” del nostro tempo, come lo definiresti?

«Il laico del nostro tempo è una persona con i piedi ben piantati per terra anche se sempre in movimento tra tanti mondi a cui appartiene. Porta avanti le sue scelte con concretezza e impegno, mettendoci la faccia e confrontandosi con chi non la pensa allo stesso modo».

A partire dalla tua esperienza di Assistente Giovani di Ac, che cosa ti senti di chiedere ai “laici” che frequentano le attività dell’associazione?

«Ad ogni aderente chiederei di prendersi a cuore l’associazione come della propria famiglia, di aver cura soprattutto dei più piccoli, dei più fragili. Di donare fiducia ai giovani, dando loro spazio (anche con la possibilità  di sbagliare), mettendosi accanto a loro in dialogo, consentendo di mettere in discussione i propri “si è sempre fatto così” e le proprie abitudini».

Come un laico può aiutarti a essere un buon prete?

«Il laico mi aiuta ad essere un buon prete quando mi ricorda che quello che ci accomuna tutti è l’essere battezzati, discepoli fallibili dello stesso Maestro. Mi aiuta quando mi chiede di essere davvero l’assistente nel gruppo e fare la mia parte “da presbitero”, ma nello stesso tempo è amico della mia umanità e condivide con me il peso e la gioia del giorno dopo giorno».

 

DON CHRISTIAN CORRADIN (30 anni, animatore vocazionale, seminario minore)

Pensando al “laico” del nostro tempo, come lo definiresti?

«Una tavolozza strabordante di colori! Ricca, viva, appassionata. Questa è l’immagine che mi si è accesa nella mente. Invece spesso ci soffermiamo sulle tante,forse troppe, sfumature di grigio che sempre di più “spengono” le nostre comunità, le nostre assemblee domenicali: che fine ha fatto la comunità?

Che futuro c’è dentro un’esperienza di chiesa così?

No, no, c’è bisogno di più protagonismo! E per fortuna che qualcuno questo lo ha capito. C’è un urgente bisogno di “sentirsi parte” di una chiesa viva. Di “fare bella” la nostra comunità così come la sogniamo, mettendo assieme delle buone idee, provando qualcosa di nuovo, riflettendo e sentendoci tutti realmente più corresponsabili; non si va lontano se ci accontentiamo di vivere una fede da spettatori a cui non viene chiesto nulla, la domenica, seduti comodamente lì nel nostro bel banchetto».

A partire dalla tua esperienza di animatore vocazionale in seminario, che cosa chiedi ai “laici” delle comunità parrocchiali?

«Nulla. Non c’è nulla, in più, da fare. Basterebbe che ciascuno di noi fosse consapevole di tutto il potenziale di bene che la sua testimonianza di vita può essere per i più giovani e per i più piccoli. Basta. Il nostro Seminario non ha bisogno di giovani che sognano di diventare preti realizzando un’intuizione (una chiamata?) avvertita nel segreto della loro stanza.
Lo vedi subito quando un giovane in ricerca porta con sé un bagaglio di esperienze, di incontri significativi, vissuti lì nella sua comunità dove è cresciuto, dove si è formato, dove ha fatto servizio per qualche anno: il singolare e prezioso contributo di tanti laici che per lui hanno saputo essere dei veri “testimoni luminosi” fa davvero la differenza!»

Come un laico può aiutarti a essere un buon prete?

«Cura, amicizia, condivisione, tenerezza: quattro parole, le prime che mi sono venute in mente pensando a quel “di più” che in alcune relazioni che vivo è in grado di fare la differenza, ricordandomi anzitutto chi sono nella semplicità di uno sguardo e nella potenza di un abbraccio. Siamo uomini, sì anche noi preti! Se sono un “buon prete” non sta a me dirlo, se mi sento uomo fino in fondo sì, per questo ho bisogno di chi mi cammina accanto, di chi condivide il peso del mio stesso zaino, di chi sa sognare in grande per rendere visibile con la nostra vita il Vangelo di Gesù».

a cura di Dino Caliaro

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