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Non dimentichiamo il grido di Francesco a Lampedusa

Non dimentichiamo il grido di Francesco a Lampedusa

Sono trascorsi diversi mesi dall’annuncio della visita di papa Francesco a Lampedusa: era il 1 luglio quando è stato comunicato al Vescovo di Agrigento il desiderio del Pontefice di andare nell’isola delle Pelagie per incontrare la comunità e i migranti presenti. In soli sette giorni è stato approntato tutto il necessario per il finissage dell’accoglienza del Papa con uno stile sobrio.

La Chiesa diocesana, colma di gioia intima e condivisa per l’evento tanto inaspettato, ad oggi si interroga sul significato della presenza del Papa: la scelta di Lampedusa e di questa Chiesa particolare, i gesti compiuti, i messaggi, ma soprattutto le modalità con cui si è svolta la visita. L’esercizio e l’esito di questo discernimento riguardano la Chiesa agrigentina, ma è suo compito rilanciarlo alla comunità civile, alla Chiesa universale, basti pensare che la Presidente del Brasile, nel suo indirizzo di saluto all’arrivo del Papa a Rio de Janeiro, ha citato la frase: “la globalizzazione dell’indifferenza” pronunciata dal Santo Padre nella sua omelia a Lampedusa, raccogliendo l’invito a superare questa indifferenza verso la sofferenza dei popoli, delle persone.

Questa visita suscita molteplici suggestioni, molti stimoli e spunti di riflessione, ritengo che il denominatore comune, ermeneutico delle parole e dell’evento, sia proprio lo stile del Papa, che ci sorprende con “cose nuove” ispirate dalla novità del Vangelo. Alle azioni del Papa dovrebbe corrispondere la nostra capacità di farci interpellare, ed è lì che sta la novità.

È stata sottolineata l’assenza delle autorità civili e religiose nel primo viaggio apostolico del Pontificato: nella lettera di annuncio della visita le personalità erano state dispensate dal partecipare in veste ufficiale, e questo non tanto per escludere, ma per rendere più agile la preparazione, la logistica e lo svolgimento del programma, data l’esiguità del tempo della presenza del Pontefice nell’isola. Dunque, una delicatezza, una attenzione per coloro che avevano il compito di ospitare e per le personalità stesse, la cui presenza avrebbe comportato la necessità di ulteriori formalità.

Il Papa ha voluto celebrare una liturgia penitenziale per chiedere perdono al Signore per coloro che hanno trovato la morte in mare e per l’indifferenza del mondo nei riguardi della tragedia che si consuma nel Canale di Sicilia e durante la fuga verso le coste africane. I paramenti erano violacei, il Vangelo proclamato è stato il passo della strage degli innocenti. È risuonata la domanda del Padre: “Caino, dove è tuo fratello?”. Durante la funzione il tono della voce era mesto, il Papa era come turbato da ciò che aveva visto, da ciò che l’immaginazione ha potuto ricreare guardando il mare sconfinato, i relitti delle barche, quei luoghi che sono riflesso di un vero e proprio dramma. Nemmeno la festosità della gente ha distratto il Santo Padre da questa sua esperienza, dalla profonda e sconvolgente emozione.

Il Pontefice ha incontrato le comunità di Lampedusa e Linosa e alcuni profughi: ha sorriso, ha ascoltato, ha incrociato gli sguardi, ha risposto al desiderio della gente di vedere il Papa, di esprimere la propria gioia, la trepidazione per quella presenza. La papa mobile è stata una FIAT campagnola di un residente, la gente si assiepava attorno all’auto ed era come se fossero le persone a portarla, sembrava sollevata da terra; e la vettura per gli spostamenti logistici era la macchina del segretario del Vescovo diocesano.

In effetti, il Santo Padre era vicinissimo, quasi lo si poteva toccare nei percorsi che ha compiuto nell’isola. Era veramente presente lì, in quel luogo; a loro ha parlato, ad ognuno di loro ha detto grazie per ciò che aveva compiuto. Ha parlato sì al cuore dei Lampedusani, ma attraverso quelle parole vibranti, con i gesti semplici, coerenti con la propria storia personale e con il Vangelo, papa Francesco – per il carisma petrino – ha parlato con l’intera famiglia umana. Un linguaggio, un concetto così chiaro nella sua nuda verità che è rivolto a tutti: «Allora Pietro levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così» (At 2,14).

Riferendosi a Manzoni, il Santo Padre ha ripreso “la figura dell’Innominato dei Promessi Sposi: «La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto»; e poi si è chiesto: «chi ha pianto questi morti?». Parole gravi ed un richiamo forte ad una umanità disamorata, sorda, inaridita, sensibile solo all’interesse. E così il Papa ha chiesto: «Adamo, dove sei», dove è l’uomo: umanità, quali vie percorri, dove ti sei persa?.

La Chiesa agrigentina nell’arco di vent’anni è stata protagonista di due grandi impegni che nascono dalla propria storia, ma che sono rivolti a tutto il mondo: il grido di Giovanni Paolo II contro la mafia nella Valle dei Templi ad Agrigento; la grande domanda di senso di Francesco a Lampedusa, le lacrime per la tragedia che divora innocenti. Due questioni, due messaggi forti, due temi teologici dove il pathos delle persone e la reazione di carità e di impegno rendono presente Dio, e per questo lì deve esserci la Chiesa.

La ferula del Papa è stata realizzata con il legno dei barconi, ha gli stessi colori, vi sono i simboli del pane e dei pesci ed un cuore rosso: è come se la Chiesa, caricata dalla sofferenza e dalla speranza, e l’umanità intera dovessero essere guidate verso l’unica verità che è la persona.

Ognuno di noi forse non incontrerà un profugo, un naufrago come capita a Lampedusa, tuttavia è chiamato ad agire nel proprio quotidiano verso chi soffre, ad assumere quella capacità di com-patire l’altro. E pertanto Lampedusa rappresenta quel nostro quotidiano che dobbiamo abitare da laici, coloro i quali dicono di avere il cuore soggiogato dalla signoria di Cristo.

Massimo Muratore, presidente diocesano Ac di Agrigento

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