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L’UE dai banchi di scuola: futuro dei nostri ragazzi è (già) europeo

L’UE dai banchi di scuola: futuro dei nostri ragazzi è (già) europeo

Unita nella diversità. Inaugurato nell’anno 2000, è questo il motto dell’Unione Europea, “ad indicare come, attraverso l’UE, gli europei siano riusciti ad operare insieme a favore della pace e della prosperità, mantenendo al tempo stesso la ricchezza delle diverse culture, tradizioni e lingue del continente”. Sarà quindi deformazione professionale, ma l’occhio scorre l’elenco dei motti nelle 24 lingue ufficiali dell’UE a cercare la versione in quelle lingue che più vengono insegnate a scuola: United in diversity, In Vielfalt geeint, Unida en la diversidad, Unie dans la diversité.

Un insegnante di lingua europea non può prescindere dalla consapevolezza che il popolo italiano è parte di una più grande unione di popoli che si caratterizza proprio per la straordinaria ricchezza delle sue diverse culture, tradizioni e lingue. Insegnare una lingua, dunque, significa già insegnare la cultura, la tradizione e la ricchezza che il popolo europeo parlante quella lingua porta con sé. Basta questa consapevolezza nella quotidiana prassi didattica per ritenere di credere all’Europa e di promuoverne l’appartenenza identitaria? La risposta sembra ovvia: non è sufficiente rimanere in classe a insegnare o ad apprendere le lingue: occorre uscire, viaggiare, entrare nella quotidianità dell’altro. A partire dal viaggio reale, concreto, esso diventerà forma mentis: “costume, atteggiamento permanente, necessità esistenziale irrinunciabile”.

Gli studenti che hanno compiuto anche un solo viaggio studio all’estero, già mostrano segni di assuefazione: “Prof, l’anno prossimo tocca alla Spagna o all’Inghilterra? Dove andiamo?” E non solo perché viaggiare è divertente e non si fa lezione “normale”, in gioco c’è molto di più! Si tratta di una settimana di quotidianità in un paese straniero, generalmente europeo. Dopo un primo momento di spaesamento, (“Il caffè non è proprio caffè, prof, non c’entra niente con quello italiano!” e “Ma come si fa a mangiare salsiccia e fagioli a colazione?!”) gli studenti in genere si buttano, provano, sperimentano, si lasciano guidare, cercano spiegazioni, vogliono capire come funziona, in un processo di scoperta di valori altri, che riconoscono affini ai nostri, di riscoperta e rivalutazione dei valori e delle positività dell’essere italiani.

Le ragioni per le quali è sempre più importante organizzare viaggi studio di questo tipo sono molteplici: i ragazzi vengono stimolati all’autonomia, seppure in un contesto di costante controllo, a distanza, da parte dei propri docenti e delle famiglie europee che li accolgono; imparano a conoscere e a vivere una città straniera e a immaginare di potere un giorno essere davvero cittadini europei, perché realizzano che anche fuori dall’Italia ci si può creare un nido: possiamo appartenere anche a Berlino o a Dublino, proprio perché siamo europei. Non da ultimo, frequentano la scuola di lingue per cinque ore al giorno, e si accorgono di riuscire a comunicare, si scoprono più bravi di quanto pensino, perché parlare una lingua all’estero significa integrare molte più abilità di quelle che noi insegnanti normalmente richiediamo in classe. Parlare inglese in Irlanda o tedesco in Germania vuol dire improvvisare, ascoltare, capire, mimare, fare gesti, fare brutte figure, chiedere alla gente per strada, cioè entrare in contatto con quella popolazione europea di cui facciamo parte. E significa anche scoprirci, proprio noi italiani, più in gamba di quanto pensiamo: perfettamente all’altezza, se vogliamo, dell’ideale europeo.

Il futuro dei “nostri” ragazzi non potrà che essere europeo, e questa constatazione non dev’essere letta come una minaccia, bensì come un’opportunità per loro e per noi: di futuro, di crescita, di realizzazione personale e professionale.

Manuela Cicchelero
docente di lingua tedesca
Liceo “Pavoni” – Lonigo

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