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Gmg di Panama: la testimonianza di un giovane dell’Ac Vicenza

Gmg di Panama: la testimonianza di un giovane dell’Ac Vicenza
[articolo tratto da Coordinamento, marzo 2019]

Arriviamo a Panama dopo 14 ore di volo, stanchi ma entusiasti per le giornate che andremo a vivere. In aereo abbiamo già assaporato l’aria da “grande evento”: altri gruppi elettrizzati di pellegrini, la troupe della Rai e qualche vescovo hanno viaggiato insieme a noi; è sabato, mancano 4 giorni all’inizio ufficiale della Gmg ma l’aeroporto di Panama City è già pieno di giovani. Nell’attesa della coda per il visto spunta fuori una chitarra e iniziamo a cantare sfidando gli altri gruppi di pellegrini: equadoregni, polacchi, tedeschi e argentini rispondono con i loro canti ed è subito festa!

È stato questo lo sbarco di noi 14 vicentini in terra panamense, un popolo che ci ha fatto fin da subito sentire “a casa”, accolti come se fossimo loro figli. I primi 2 giorni siamo ospiti della comunità di Rosa, la console panamense in Italia; visitiamo il canale di cui tutti i panamensi vanno fieri e la città vecchia piena di negozi di artigianato dove non mancano i famosi cappelli.

Domenica sera dopo la S. Messa in spagnolo e italiano facciamo festa insieme. La conoscenza con queste famiglie è breve ma intensa lo testimoniano le lacrime delle “mamme panamensi” nel momento di congedarci dopo solo 2 giorni in casa loro, i ringraziamenti, gli applausi spontanei e un inaspettato “voi siete per noi una benedizione”.

Da lunedì sera fino a domenica le famiglie della parrocchia de “Nostra Senora de Guadalupe” ci accolgono a gruppi di 2 o 3. Iniziamo così a sperimentare le loro colazioni “robuste”, la loro spiritualità, l’abbondante generosità, l’orgoglio e la gioia per la Gmg e la visita del papa a Panamà.

Le giornate scorrono tra le catechesi con i vescovi al mattino, la S. Messa con tutti gli italiani e le visite alla città dal pomeriggio fino a sera. Il primo “grande” momento arriva con la via crucis venerdì sera: agli occhi appare una moltitudine coloratissima di bandiere, alle orecchie arrivano i canti in una moltitudine di lingue, sulla pelle soffia il vento dell’oceano e batte forte il sole.

Rimane in noi impresso come ogni stazione della via crucis sia dedicata ad un paese dell’America centrale: ogni popolo ha il suo santo da acclamare e festeggiare, un tema socio-politico su cui accendere i riflettori e una preghiera da affidare a Maria. Al campus Juan Pablo II, sede della veglia del sabato, arriviamo dopo una camminata di 12 km sotto il sole dei caraibi, nelle ore che precedono l’arrivo di papa Francesco giriamo il campo, scambiando saluti, selfie e oggetti con giovani provenienti da tutto il mondo.

La fortuna ci assiste e riusciamo ad essere vicini alle transenne al passaggio di saluto del papa, per noi è quasi normale vederlo ma per la maggior parte di questi ragazzi è probabilmente l’unica occasione della loro vita, l’entusiasmo è molto e noi lo percepiamo vividamente sulla nostra pelle.

Francesco ci parla di Maria influencer di Dio, come “la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia”, ci parla del suo Sì deciso e convinto; ci fa ripetere in coro più volte “Solo quello che si ama può essere salvato”.

Queste parole ci risuonano dentro, ci interrogano durante la notte che trascorriamo al campus. Al mattino, un po’ stanchi per l’intensa settimana trascorsa, ci prepariamo alla S. Messa con gli altri 600mila giovani. Papa Francesco durante l’omelia ci consegna queste parole: “voi giovani siete l’adesso di Dio! Lui vi convoca, vi chiama nelle vostre comunità, vi chiama nelle vostre città ad andare in cerca dei nonni, degli adulti; ad alzarvi in piedi e insieme a loro prendere la parola e realizzare il sogno con cui il Signore vi ha sognato”.

Con queste chiare e forti parole, raccogliamo le nostre cose e ci incamminiamo sulla via di casa dove queste parole possono e devono portare frutto.

Marco Zocca

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