Intervista a Beatrice Draghetti, Responsabile nazionale Acr dal 1986 al 1992. Durante il suo mandato è stato pubblicato il primo Progetto Acr.
Beatrice Draghetti sei arrivata alla guida dell’Acr nazionale dopo essere stata presidente dell’Ac bolognese. Un percorso inverso rispetto a quello di tanti altri. Dopo la visione unitaria, quella dell’articolazione Acrrina. Com’è stato questo approccio?
«In realtà, quando mi è stato chiesto di diventare presidente diocesana di Ac, ero già stata responsabile diocesana dell’Acr. Diciamo che ho passeggiato e sostato in vari angoli della famiglia!
Penso che anche questo abbia contribuito a farmi percepire e valorizzare la dimensione unitaria
dell’associazione, in qualsiasi esperienza: non si può essere pienamente bambini e ragazzi senza una prospettiva lunga e buona della vita, così come l’adultità non può perdere di vista la freschezza e l’apertura in avanti dei più piccoli per rimanere feconda. Passa di qui, trovandovi la sua motivazione, l’esigenza ineludibile dei rapporti intergenerazionali per crescere in modo armonico e sentirsi parte di un progetto condiviso. L’unitarietà associativa è una dimensione preziosa, lungo la linea di un cammino coerente, che tiene insieme fondamenti e specificità».
Che cosa ti porti nel cuore di quegli anni, dal punto di vista associativo e dal punto di vista umano?
«Ho un profondo senso di gratitudine. Quella dell’Acr è un’esperienza che si colloca in una stagione precisa della mia vita, ma é esplosa come ricchezza che ha fatto bene a tante altre tappe della mia vita. Accompagnare le persone in una fase delicata e preziosa come è quella dai 6 ai 14 anni mette in movimento atteggiamenti e scelte importanti: la custodia della personale coerenza di adulto, l’ascolto premuroso delle domande di vita dei più piccoli, l’investimento in educazione perché fiorisca la dignità di ciascuno. Non sono atteggiamenti e scelte relegabili da qualche parte del passato e legati a ruoli temporanei, ma profili di una maturità che devono via via consolidarsi, diventare costitutivi e spendibili dentro all’esercizio di qualsiasi tipo di responsabilità. Di questa preziosa opportunità che mi è stata regalata ringrazio spesso il Signore e naturalmente l’Azione Cattolica».
Tra le “fatiche” del tuo mandato va indubbiamente ricordata quella relativa alla pubblicazione, nella Pentecoste del 1981, del primo Progetto Acr (la cui copertina rossa è rimasta nella memoria di molti). Che cosa ha rappresentato quello strumento per l’Acr?
«“Progetto” è una parola chiave, anzi l’architrave di un cammino da protagonisti e per ogni responsabilità educativa. Anch’io sono affezionata a quel libro rosso, frutto di una gestazione impegnativa e corale, ma appunto si tratta di uno strumento che vale finché vale… Ciò che deve resistere e che è irrinunciabile è piuttosto la volontà e l’impegno per un progetto, che sostanzialmente corrisponde per ciascuno a scoprire e sperimentare ragioni di vita e di speranza, declinate nella personale vocazione. Avere e seguire un progetto a mio avviso ha sempre significato per l’Acr esercitare consapevolmente una forte responsabilità: i bambini e i ragazzi non si intrattengono in qualche modo, non si badano, non gli si fa fare qualcosa, anche se bello e inedito… L’Acr ha sempre inteso costruire le condizioni, perché i ‘piccoli’ potessero via via sperimentare la personale chiamata ad essere protagonisti, cioè ‘santi’: per questo l’Acr ha stimato e alimentato competenza, studio, ‘professionalità’, l’aderenza a un metodo, come di chi è consapevole di avere in custodia un tesoro inestimabile».
A distanza di tanti anni e, soprattutto, dopo la tua impegnativa esperienza in politica, come ti appare l’Ac nel panorama ecclesiale di oggi? E l’Acr?
«Continuo a essere aderente dell’Ac in un cammino ormai lunghissimo, vista l’età, e ininterrotto. Non partecipo attivamente ora a un gruppo associativo, ma cerco di seguire con attenzione i passi dell’Ac e soprattutto di fare tesoro delle infinite opportunità che mi ha regalato, come regola di vita. È un ‘bagaglio’ di risorse che – lo posso testimoniare – è validissimo in ogni ambito, dentro ad ogni
responsabilità. Sono fermamente convinta che l’associazione può continuare a svolgere un ruolo importante e per certi versi insostituibile nella Chiesa e nel Paese. Investire sulla formazione delle persone di ogni età, allenarle e sostenerle nell’esercizio di responsabilità in ogni campo, promuovere il senso e l’irrinunciabilità del bene comune, valorizzare l’esemplarità della vita personale come contributo straordinario al vivere insieme: non saprei individuare doni più preziosi per la comunità cristiana e per la società. Soprattutto oggi, quando diffusamente l’istante e l’apparenza sembrano essere modalità e vie attraenti e risolutive, resistere come fa l’Azione Cattolica, anche nel nascondimento e nella perseveranza, sui capisaldi della sua ragione d’essere, alimenta speranza, coraggio e certezza di futuro buono.
Gino Lunardi