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Ac e santità popolare: Vittorio Bachelet

Ac e santità popolare: Vittorio Bachelet

* Nono incontro nel nostro percorso sulle tracce dei testimoni di santità legati all’Azione Cattolica. Per la spiegazione del progetto e le “puntate precedenti”, clicca QUI.

Vittorio Bachelet (1926-1980)

Non è facile […] essere e operare nel mondo senza in qualche modo divenire del mondo. Non è facile, negli impegni dell’organizzazione, nella vita battagliera e polemica, saper mantenere l’intimità con il Signore”, ma è sempre possibile con l’aiuto divino “accettare la parte di Marta senza trascurare la più importante parte di Maria”. Vittorio Bachelet nel 1959, l’anno in cui fu chiamato alla vicepresidenza dell’Azione Cattolica da papa Giovanni XXIII, scriveva queste parole ricordando don Luigi Sturzo. Parole che ci rimandano all’icona di questo anno associativo e che anticipavano quella che sarebbe stata la scelta religiosa dell’associazione.

Nei giorni in cui ricorre l’anniversario del suo martirio laico (Bachelet fu assassinato dalle Brigate rosse il 12 febbraio del 1980 all’Università La Sapienza di Roma) vorremmo ricordarlo per la sua santità quotidiana, per il suo stile di vita e il suo metodo di servizio.

L’ultimo atto della sua vita, il sacrificio compiuto nell’esercizio della sua professione e nel servizio allo Stato (era il Vice Presidente del Consiglio superiore della Magistratura), illumina le tappe di una esistenza mite e coraggiosa, vissuta nella fede, con semplicità, cordialità, senza clamore. Al tempo stesso è quella vita segnata dalla fede, quel modo di scrutare la storia con sguardo sereno e intelligente, che aiuta a comprendere il valore del suo sacrificio.

Iscritto all’Azione Cattolica fin da piccolo presso il circolo parrocchiale di S. Antonio di Savena di Bologna, dove allora viveva la sua famiglia, Vittorio si impegna poi nella FUCI e con i Laureati cattolici, e viene chiamato nel 1964, a 38 anni, da Paolo VI alla presidenza nazionale dell’associazione con il mandato di rinnovare l’associazione per attuare il Concilio. Nel frattempo è diventato docente di Diritto amministrativo (nei primi anni da presidente fa la spola tra Trieste e Roma), ha sposato la dolcissima Miesi, oggi splendida novantacinquenne, e ha due figli, Maria Grazia e Giovanni: una famiglia cresciuta nella sobrietà, nella gioia e nel perdono.

Nella responsabilità associativa Bachelet non operò mai da solo, anzi si mosse sempre verificando il consenso delle sue decisioni con la base, sino ai più piccoli gruppi parrocchiali. Coinvolse nella revisione dello Statuto, approvato nel 1969, soprattutto i presidenti delle giunte diocesane e i loro collaboratori; a essi, nel 1966, aveva scritto, non senza ironia: «Sulla traccia del Concilio, cerchiamo di essere, noi laici di Azione cattolica, meno “sacrestani” e più cristiani». Con loro Bachelet condivise l’intuizione di trasformare l’Azione cattolica in un laboratorio della Chiesa del domani, innanzitutto partendo da una riorganizzazione interna dell’associazione, che portò allo Statuto unitario del ’69 e che mise insieme un’inedita combinazione: la democrazia nella vita interna dell’associazione e la serena fedeltà ai Pastori.

Rileggendo quel momento storico dirà in seguito in un’intervista: “Di fronte a questo mondo che cambia, di fronte alla crisi dei valori, nel cambiamento del quadro sociale e culturale, forse con un’intuizione anticipatrice, o comunque con una nuova consapevolezza, l’AC si chiese su che cosa puntare. Valeva la pena di correre dietro a singoli problemi, importanti o consequenziali, o puntare invece alle radici? Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana, che cosa era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa – buona o cattiva che sia l’espressione – è questo: riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato”.

Quel rinnovamento comportò anche per la struttura dell’associazione un’inevitabile cura dimagrante, numerica e finanziaria, che Bachelet seguì personalmente con coraggio e fiducia, preoccupandosi del ricollocamento di ciascun dipendente.

Con lo stesso coraggio e la stessa fiducia si impegnò poi nella vita civile e istituzionale accettando un incarico così delicato in un momento particolarmente difficile del nostro Paese

Nel 1973, nel lasciare la Presidenza nazionale dell’AC aveva detto: “Non si vince l’egoismo mostruoso che stronca la vita se non con un supplemento di amore, se non contrapponendo la capacità di dare la vita per il sostegno e la difesa degli inermi, degli innocenti, di chi vive in una insostenibile situazione di ingiustizia”. Era la consegna che lasciava all’AC, ma in realtà era il suo testamento spirituale. In molti colsero il carattere sereno di Vittorio Bachelet, anche nel giorno della sua morte. Un suo collega pochi giorni prima della morte gli aveva chiesto se non era il caso di prendere qualche precauzione e Vittorio fece una risata che solo lui sapeva fare, come se avesse chiesto ad un poveraccio di prendersi una cassetta di sicurezza in banca. “Per conto mio vivo nella fiducia che piccoli segnali possano diventare una grande luce” aveva detto a un giornalista proprio il giorno prima di morire. Era la fiducia di un uomo mite: “Io non sono in guerra con nessuno, per questo non voglio la scorta”. Ricorda suo figlio Giovanni che il senso dell’umorismo spingeva spesso suo padre a sorridere, anziché piangere, sulla lentezza e l’ansietà nella realizzazione degli orientamenti conciliari, lavorando non per “strappare” ma sempre per “cucire” e per far crescere legami.

Qualche giorno fa, nella messa di suffragio alla Domus Pacis, il vescovo Gualtiero ha detto che fare memoria di Vittorio Bachelet “significa non solo riportare alla mente la sua figura e il suo insegnamento, ma anche dargli di nuovo il cuore, come suggerisce l’etimologia del verbo ricordare: verbo di futuro, non di passato! […] Al roveto ardente del suo servizio civile ed ecclesiale, l’Azione Cattolica, che ne ha misurato la statura e la nobiltà, si accosta togliendosi i sandali dai piedi. […] Con l’eredità di sapienza ricevuta da Vittorio Bachelet i soci di Azione Cattolica possiedono come una fiaccola, che, oltre a risplendere, illumina. A Bachelet è cosa buona e giusta dedicare quanto don Primo Mazzolari diceva del suo vescovo: il tempo non ha ancora compiuto il ponte tra la nostra mediocrità e la sua grandezza, tra il suo perdersi e il nostro calcolare”.

Caterina Pozzato

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